venerdì 23 dicembre 2011

BUON NATALE 2011


POETAR PER GIOCO A VENT'ANNI


Che cosa
Se non sassi lanciati lontano
Che cosa
Se non il glub che ride
Della sua concentrica fine
Che cosa
Se non due occhi pazzi
Di una vecchia in calore felice
Possono farmi pensare

Che cosa
Se non ombre magre – sciolte in un sole trasparente
Che cosa – se non un canto
Nel silenzio della notte
Che cosa – se non un lungo straziante pianto
Che non piega i cuori
Possono farmi pensare

Che cosa
Se non l’indiavolata voglia di respiro
Tra una bufera e l’altra
Che cosa – se non un artiglio
Che strazia l’inesistente dopo averlo creato
Che cosa – se non i mille modi di morire
Possono farmi pensare

Che cosa
Se non miliardi di bacche sanguigne
Che nessuna stagione ha ancora accomunato
Che cosa
Se non miliardi
Di fiamme accese in moti pulsanti

Che cosa 
Se non il desiderio di domani
Può creare il domani








Bruciamo e il filtro delle sensazioni si ritira 
avverti dolore – piacere e dolore
vedi realmente il mosaico ricomporsi 
e avverti moti di ballo intorno a te

Nelle tue ossa il suono è chiaro 
musicalmente aggraziato
Infernali stridii di ruote ti aspettano 
urla pianti dolori
fiamme che non esprimi con la giusta rabbia


Voi maledetti 
che bruciate con me ogni giorno 
nei luoghi più strani
alla ricerca del bimbo che piange 
della parola di un vecchio
di una visione chiara delle cose

Ascoltate 
che ce ne faremo di tutto questo

Mi lascio dilaniare dalle belve 
incatenate nella materia cerebrale
sotto l’effetto dell’alcool
Tutto ciò servirà solo a pasturare
Feroci felini che arroteranno 
TaglientiLingueArtigliate





Occhi pazzi simili a vetro soffiato
Li ho visti impazzire
Guardando il tramonto
Fumando tabacco tedesco
Li ho visti uscire di senno in autobus
In treno
In un ascensore mentre sale lentamente 
Danzando
Tra la luce solare
E il grigio freddo cemento

Ho sentito le corde del contrappeso
Sobbalzare all’arresto di quella cella
Che pur racchiudendo
Due occhi di vetro soffiato
Ne rimane prigioniera

Carceriere e galeotto si confondono
Nella danza cromatica
Delle otto del mattino

Occhi chiari 
Occhi di vento
Impazziti per caso
Scrutate il pianto furibondo
Celato nel vostro buio
Lasciatelo venire fuori ora
Perché io possa vederlo
Scendere gravoso dalle vostre ferite
Corrermi sulle guance
Per poi perdersi
Nell’afa che mi avvolgerà
Aprendo la porta dell’inferno

Anima – dolce anima
Comanda nervi mortali
Fa’ che io non incrementi ancora
Il mio stato di ansietà
Anima fammi chiudere la luce
Nel palmo della mia mano
E cancella ogni rimorso



mercoledì 21 dicembre 2011


SETTEMBRE 2009


LA CASA DI GENOVA - MANFREDO - MADONNA DELL'OLMO 
CAMPIGLIA -CARNEA - LA SPEZIA - SESTRI LEVANTE - FABIANO






UN ANNO DALLA RIVOLTA TUNISINA...



martedì 20 dicembre 2011

BUONE FESTE A ELISEO DELLA FOCE...





L’Africa, sublime e spoglia, si accartoccia e si riapre con tale velocità che è difficile intravedere i segreti racchiusi. Ma è sufficiente abbassare l’orecchio al suolo per ascoltare la voce della memoria.




Nelle terre desertiche le pietre taglienti marcano il territorio in percorsi lievitati nel nulla. I pozzi d’acqua sono lontani segreti. Non vedo l’orma di un uomo; il mio cuore è così leggero che neppure io lascerò una traccia.
 Così risposi ermeticamente, alla domanda di Moulay: - come ti appare la mia terra?

Nel sudore di un’asina quante partenze e ritorni, si possono leggere, per sentieri che nel nulla si inoltrano e dal nulla riportano indietro. Il senso delle cose si perde nel ronzare disattento delle mosche.
 Il pastore muto di Merzouga attende, al limitare del villaggio, gli animali delle famiglie della comunità per portarli al pascolo tra le dune, nella cocente caldera di sabbia dove non si vede un filo d’erba. Guida gli animali dove solo lui può arrivare, elfo del deserto. Ogni giorno cambia direzione e senza parole va a far miracoli.



Il Sahara è un animale silenzioso sdraiato di fronte a me, arcua il corpo composto da particelle microscopiche; in un falso riposo progredisce silenziosamente. La creatura distende le membra polverose sino ad arrivare in Algeria, in Mauritania, in Mali, nel Niger. Il corpo è attraversato da piste segnate con pire di sassi incrinati dal sole e altri sentieri appena accennati dal quotidiano andare. In questi miraggi di percorsi scorre il fiume dei bimbi, bestie da soma, scarabei smarriti e il correre rombante dei fuoristrada in cerca di avventura.

Moulay - sono convinto di aver visto, tra gli stucchi stupendi della moschea, microscopiche gocce di sangue.

E’ primo maggio a Meknes. Raccolte nell’ombra riposano le immobili macchie colorate degli abiti della festa. Il rumoroso ridere dei bambini spinge lontano il volo delle rondini che paiono tracciare nel cielo percorsi di fuga, improbabili vie d’uscita. In questa terra magnetica ogni cosa rimane incollata al suolo e l’anima è immobilizzata, stranita dal caldo, soggiogata dai miraggi. Resistono al tempo gli antichi splendori della casbah addormentata: moschee e hamam, odori di spezie e fruscii di sete preziose.





A Casablanca le immagini dei pirati arabi, i profumi degli unguenti miracolosi e la danza dei veli, sono lontani ricordi. Nella luce del sole accecante non provo neppure lontanamente ad immaginare tutto questo. Centinaia di venditori d’hashish e latte smaltate per i turisti, strade spezzate nella noia geometrica delle piazze anni sessanta, sguardi lontani, imbalsamati nella dura realtà di un mondo costretto a nutrirsi del ricordo di se stesso. Non c’è Humphrey Bogart e neppure le nebbie, ma solo polvere addossata alla polvere. La solitudine è affogata tra i portali, le fontane colorate, i miasmi irrespirabili e le ombre nei souk affollati all’inverosimile.

Dove si trascina questo paese duro, faticoso e nonostante tutto magico. Il caldo nella medina mi assale con il profumo del tè alla menta e l’odore pungente del sudore. 



Erg Chebbi. Erfoud. Rissani. Taouz. Il confine algerino.

Combatto continuamente con le mosche sfacciate e noiose. La locanda nel deserto è costruita a forma di cubo e l’aria è acqua bollente. Solo una lieve brezza spezza a tratti  il caldo e mi sembra di rinascere. 

Ouarzazate. Gole del Dades. Gole di Todrha. Tinerhir.

A Zagora un cartello indica la strada per Timbuktu: 52 giorni di cammello. Il percorso è costruito di frammenti, polvere e pulviscolo…come l’anima.

La fuga della luna piena e gli uccelli nervosi annunciano l’alba. La medina è affollata dalle richieste continue delle guide improvvisate e brigantaggio da poco: storpi, bimbi, gli uomini con i costumi sdruciti vendono l’acqua a bicchiere, ori, pelli di cammello e un festaiolo matrimonio per la strada.
Una donna si avventa sopra il mio piatto, scartato di lato perché troppo piccante, velocissima rapina il contenuto con le mani e imbocca il figlio legato alla schiena.

Ripide strade di montagna dell’Atlante e paesi d’argilla, poi la discesa verso l’arida piana nella direzione dei palmizi e delle oasi. Oltrepasso villaggi di cartone pressato e sbarramenti improvvisati a trattenere l’avanzata del deserto.





Il mio sguardo si perde affascinato a scrutare la grande duna; il tramonto la intimidiva giurandogli il buio e lei si ritraeva arrossendo. Sono estasiato e rapito ad osservare il mare di sabbia intorno. Un bimbo minuscolo si avvicina e mi dice affranto:- comme se trist eh?





Mi accorgo improvvisamente che sono alla ricerca di luoghi di pace 

in una terra che non conosce il riposo.








MAROCCO - TUNISIA - MERCATO DI TUNISI - MATMATA...
LA GRAMIGNA









giovedì 15 dicembre 2011

 Fosco Maraini
I viaggi li vedrei di due tipi fondamentali. 

Uno, quelli all’esterno dei grandi muri d’idee. 
Due, quelli con perforazione o salto dei muri d’idee …

I viaggi del secondo tipo portano sempre ad esperienze mentali e spirituali stimolanti, piene di suggestione. In un viaggio del secondo tipo potrà capitare che tu resti sotto lo stesso cielo e nello stesso clima di casa (come avviene a chi passa da Salonicco ad Istanbul, o da Lahore ad Agra), può darsi che la gente non cambi notevolmente d’aspetto fisico (come scopre chi naviga, per esempio, da Trapani a Tunisi), può darsi che i sistemi di governo siano simili, può anche avvenire di parlare la medesima lingua (come nota chi vola da Mosca a Samarcanda, o chi segue una carovana da Skardu a Leh), eppure ben presto noterai qualcosa nell’aria che ti farà concludere d’aver varcato uno di quei confini tra gli uomini oltre il quale cessano le variazioni quantitative e s’instaura un salto qualitativo.


STRADA PER LHASA

Henri Cordier :   Gli occidentali hanno curiosamente limitato la storia del mondo raggruppando il poco che sapevano sull’espansione della razza umana intorno ai popoli di Israele, Grecia e Roma. Cosi facendo hanno ignorato tutti quei viaggiatori ed esploratori che, a bordo di navi, hanno solcato il mar della Cina e l’oceano Indiano, o, in carovane, hanno attraversato le immense distese dell’Asia centrale sino al golfo Persico. In verità, la parte più cospicua del globo, con culture diverse da quelle degli antichi Greci e Romani ma non meno civilizzate, è rimasta sconosciuta a coloro che hanno scritto la storia del loro piccolo mondo con la convinzione di scrivere la storia del mondo. 


TAMIL NADU - INDIA DEL SUD

GALAVERNA



GEMMA & DAMIANO
PICCOLI CONTESTATORI CRESCONO








E' UN DURO LAVORO MA LO SI DEVE FARE...

mercoledì 14 dicembre 2011

Dalla guerra al salmone




     
    Passati i periodi di gioie e dolori avvinghiati - le valli bosniache sono un vecchio ricordo di mille anni fa – eppure il dolore sconquassa il petto quando sento le musiche e i rumori che mi riportano alla mente i tempi passati. Teorizzare l’eccessiva fortuna che sento al mio fianco nonostante i dolori - e sale e miele e fuoco e vento gelido – eccitazione e calma antelucana – io mescolo - unisco - accomuno la parte gioiosa della vita con un senso di morte e distruzione. Un’altra volta mi ritrovo a miscelare il mio dolore con quello degli altri che mi lasciano troppo presto - che stanchezza il dolore altrui - vorrei dimenticare la strada nota per perdermi in anfratti oscuri – cercare pavido un rifugio del dopo bomba – ma lo tsunami ha irrigato violentemente le pieghe del mio corpo e crea uno sfacelo malcelato. 
Tento di costruire il regno delle ombre - per preservare un minuscolo luogo di pace e allontanare il risveglio.

Mi sento come un salmone che faticosamente risale la corrente.




   Il salmo salar tenta la risalita del fiume. Può un salmone essere riferimento del tentativo di sopravvivenza di tutte le specie viventi…
E risale il fiume in piena per depositare le uova in un posto sicuro - dalle acque fredde dell’Atlantico diviene pesce arrampicatore, esploratore, argonauta squamato.


   Il contatto con l’acqua più fredda è una reminiscenza dispersa nell’istinto, nel bagaglio degli impulsi naturali - trasmessi nel momento della nascita e mantenuti sino alla morte - tanto precisi da essere tramandati.
Intorno le rocce, gli scogli e i sassi sono singole trasmissioni nervose molto più che forme reali, alghe e piante acquatiche, catatoniche macchie di verde in balia del flusso.
   I riflessi del sole in un cielo invernale sparpagliano luce rarefatta che ingurgita le ombre, le fragili coperture di ghiaccio mummificano i movimenti e trasformano le baie tranquille in acquai congelati. E loro sono lì immobili - la coda timone, barra,  fermezza a bocca aperta controcorrente nel mese della risalita. Quasi emanano un’aurea luminescente dal corpo sensitivo. Balzano tra le pozze in salita richiamati dal dio dei greti montani – e lo spirito silvestre li incita a partecipare all’assemblea nella neve disciolta.


   Tuffi tra rocce levigate e infide pozze che non permettono altri movimenti se non il tentativo della discesa - per poi riprovare a drizzare verso l’alto - come se il cielo frastagliato dalla silouette delle montagne fosse il luogo di ritrovo - e tra le nuvole bianche e veloci esistesse un nido primordiale dove porre a riposo la nuova generazione filamentosa.




Per solidarietà divento un salmone che risale la corrente...