venerdì 14 settembre 2012

Caucaso: Valle di Terksol.




I controlli dei soldati ai passeggeri dell’autobus sono minuziosi. L’ambiente intorno è desolato. 

La camera è affollata di scarafaggi che camminano baldanzosi sull’attrezzatura da montagna. L’Elbrus vigila da lontano sulla mia colazione di carne e spaghetti. Il monte Donguzorun di fronte si scuote all’improvviso mentre saliamo per l’acclimatamento a quattromila metri.

Un terremoto ha colpito una parte della Georgia e il monte poco lontano ha assorbito il tremito della terra.

Saliamo alla vetta Cheget.

La nostra interprete, logicamente si chiama Irina, è molto critica nei confronti del governo e del passato politico del suo paese. Con un velo di triste rinuncia parla della sua terra come di un ex patria.

Caucaso nascosto tra le montagne – un orso assonnato che non conosce il letargo.

Occhi fieri - alla ricerca di pane e libertà.

Per strada un vecchio contadino vende venti mele di numero. Negli spacci non c’è quasi nulla da comprare a parte le confezioni di alloro secco. I vecchi villaggi sono scomparsi, tramutati in agglomerati costruiti con la tipica architettura socialista-operaia.

Una donna chiede un momentaneo asilo politico al mio tavolo, alcuni uomini cominciano a inveirle contro e lei si allontana. Non mi dava l’idea di un avvicinamento mercenario, la reazione è stata esagerata forse per la paura di eventuali confessioni.

Odore di vodka e rabbia repressa.

Ora nevica, tutto è immobile e muto.

Salgo al monte Itkol cadendo ripetutamente dentro i saracchi nascosti dalla nevicata della notte. Vladimir mi deve aiutare e altre volte sono io a tirarlo fuori dai guai. Saliamo velocissimi i pendii ghiacciati come fosse un gioco, Vladimir mi dice che bisogna fare presto perché tra poco si alzerà il vento e sulla cima non riusciremmo a stare in piedi.

Giunti alla vetta il più bel panorama è il sorriso abbagliante dei suoi denti d’oro.




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