Caucaso: Valle di Terksol.
I controlli dei
soldati ai passeggeri dell’autobus sono minuziosi. L’ambiente intorno è
desolato.
La camera è affollata di scarafaggi che camminano baldanzosi
sull’attrezzatura da montagna. L’Elbrus vigila da lontano sulla mia colazione
di carne e spaghetti. Il monte Donguzorun di fronte si scuote all’improvviso
mentre saliamo per l’acclimatamento a quattromila metri.
Un terremoto ha
colpito una parte della Georgia e il monte poco lontano ha assorbito il tremito
della terra.
Saliamo alla vetta
Cheget.
La nostra
interprete, logicamente si chiama Irina, è molto critica nei confronti del
governo e del passato politico del suo paese. Con un velo di triste rinuncia
parla della sua terra come di un ex patria.
Caucaso nascosto
tra le montagne – un orso assonnato che non conosce il letargo.
Occhi fieri - alla
ricerca di pane e libertà.
Per strada un
vecchio contadino vende venti mele di numero. Negli spacci non c’è quasi nulla
da comprare a parte le confezioni di alloro secco. I vecchi villaggi sono scomparsi,
tramutati in agglomerati costruiti con la tipica architettura
socialista-operaia.
Una donna chiede un
momentaneo asilo politico al mio tavolo, alcuni uomini cominciano a inveirle
contro e lei si allontana. Non mi dava l’idea di un avvicinamento mercenario,
la reazione è stata esagerata forse per la paura di eventuali confessioni.
Odore di vodka e
rabbia repressa.
Ora nevica, tutto è
immobile e muto.
Salgo al monte
Itkol cadendo ripetutamente dentro i saracchi nascosti dalla nevicata della
notte. Vladimir mi deve aiutare e altre volte sono io a tirarlo fuori dai guai.
Saliamo velocissimi i pendii ghiacciati come fosse un gioco, Vladimir mi dice
che bisogna fare presto perché tra poco si alzerà il vento e sulla cima non
riusciremmo a stare in piedi.
Giunti alla vetta
il più bel panorama è il sorriso abbagliante dei suoi denti d’oro.
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