giovedì 26 aprile 2012


Sarajevo: appunti del tempo della guerra.


Neve e ghiaccio - distruzione e morte. Gocce d’acqua congelate in stalattiti lattiginose. Chiese - moschee e cumuli di neve solidificata. Neve sporca di cenere e fango.

Sono ospite di una famiglia mussulmana: padre, madre e due figli. La stanza da letto che mi offrono, è quella che la famiglia non ha usato durante i quattro anni di guerra, perché esposta alla linea di fuoco serba. Fogli di plastica sostituiscono i vetri alle finestre distrutti dai colpi dell’artiglieria.

Dalla finestra osservo la neve e gli uomini alleati in geometrie di follia. Trincee di fango come labirinti…

A tarda sera parliamo di speranze, del terrore che si è impadronito di tutto e tutti negli ultimi quattro anni. Si rinnovano i racconti di una città ridotta ai minimi termini, una città stremata nel rigido inverno bosniaco. Per strada guardo le persone avanzare lentamente ripiegate dal vento gelido del monte Igman. Hamo dice: -“Amavo la montagna prima della guerra, adesso odio tutto ciò che è più alto di una collina. Dall’alto di quel monte veniva la morte. Spari continui dei cecchini, le granate e le pallottole impazzite che rimbalzano”-. Scorgo la fiamma della speranza tra le parole tristi.
Partecipiamo a seminari tenuti da responsabili del governo bosniaco e dalle associazioni umanitarie. Incontriamo il Ministro della sanità, il Ministro della ricostruzione, il responsabile dei media e il Presidente dell’Associazione per la pace di Sarajevo. Il direttore dell’ospedale cittadino racconta com’è stato possibile continuare a curare e operare i feriti nonostante la mancanza di luce, d’acqua e gas.

Nell’ospedale non c’è più un vetro intatto. Sono sempre rossi i tramonti attraverso la plastica. I carrozzieri della città costruiscono protesi nella penombra.


Le parole di guerra si inseguono: Ex Jugoslavia, pulizia etnica, ustascia, cetnici, pazj snajper, Dayton, Igman. Nella Sarajevo innevata la frase ricorrente è “sretna nova godina”. Felice anno nuovo. Ed io spero con loro. Tutti sono concordi nell’affermare che quest’anno vedrà la fine della guerra. Nelle case non c’è acqua potabile, in compenso è arrivata l’energia elettrica ed il gas una volta ogni due giorni. Le pensioni medie si aggirano dai trenta ai cinquanta marchi al mese e sono integrate da aiuti umanitari. Il coprifuoco e’ attivo dalle dieci di sera alle cinque del mattino ed in città è stato tolto solo in occasione dell’ultimo giorno dell’anno.
I giornali riportano notizie contrastanti: dal tribunale dell’Aia nella Commissione per i crimini di guerra, Chetif Bassiouni dice: Se le vittime non vedranno la giustizia potranno mai vedere la pace?  Sono ricercati per genocidio i serbo - bosniaci: Karadzic e Mladic.  Nello stesso tempo il tribunale dell’Aia ha dichiarato criminali di guerra i croati di Bosnia: Blaskic e Kordic, ma questi ultimi sono stati decorati da poco tempo in Croazia al valore militare. 
Deponiamo una corona alla tomba del milite ignoto nel vecchio cimitero. Ombre – tombe - lapidi. I fiori congelati sono privi di sfumature di colore e profumo. Mi domando se mai ritornerà la primavera?





 BUONA PASQUA
APPUNTI 2012



…e non mi resta altro da fare che partire per Sarajevo: “La bella violentata”.
Mi assale il senso di non essere mai stato in questo luogo; lentamente entro nei ricordi e si fa vivo il passato.
Le torri sono state restaurate e così pure l’Holiday Inn è in piena forma, la casa distrutta dalle granate che riportava posters di angeli alla facciata ora mostra al loro posto i condizionatori d’aria.
Cippi commemorativi e lapidi e le cavità delle granate sulle strade sono diventate “Le rose di Sarajevo”.
La città vecchia è tornata agli antici ritmi dettati dal turismo; dall’alto minareto il muezzin declama, aiutato dall’amplificatore, moniti vibranti.
La città è viva – pulsante e giovane. Quindici anni fa l’ho lasciata vuota – fredda e triste.
Alla biblioteca continuano i lavori di restauro e oltre il viale dei tram instancabile scorre la Miljacka.


In alto il quartiere popolare abbraccia il cimitero di guerra e tra le lapidi un cane sonnecchia beandosi del caldo di un timido sole che tramonta.

La foschia lascia la città, sale a intenebrare il cielo bianco-azzurro malato, e il velo ascensionale dona il flow ai minareti e campanili.

I tram sono lampi coloratissimi…

Nonostante il flusso costante di persone regna una sorta di silenzio quasi rispettoso del passato recente.

Ilma si alza dal sedile del tram e scende alla fermata della biblioteca, l’aria fredda delle colline smuove la sua lunga camicia, azzurra come il suo velo, allunga il passo sul ponte e quel ponte vibra di azzurro. Può camminare tranquilla, nessun cecchino la tiene sotto tiro, soltanto io con il mio obiettivo continuo a seguirla, e mentre le scatto una fotografia quasi mi trema il dito. Ma è proprio questo scatto che la terrà viva per sempre, giovane all’infinito… un’eterna sfumatura azzurra nel grigio sfondo di un palazzo in restauro.


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