Sarajevo: appunti
del tempo della guerra.
Neve e ghiaccio - distruzione e
morte. Gocce d’acqua congelate in stalattiti lattiginose. Chiese - moschee e
cumuli di neve solidificata. Neve sporca di cenere e fango.
Sono
ospite di una famiglia mussulmana: padre, madre e due figli. La stanza da letto
che mi offrono, è quella che la famiglia non ha usato durante i quattro anni di
guerra, perché esposta alla linea di fuoco serba. Fogli di plastica
sostituiscono i vetri alle finestre distrutti dai colpi dell’artiglieria.
Dalla finestra osservo la neve
e gli uomini alleati in geometrie di follia. Trincee di fango come labirinti…
A
tarda sera parliamo di speranze, del terrore che si è impadronito di tutto e
tutti negli ultimi quattro anni. Si rinnovano i racconti di una città ridotta
ai minimi termini, una città stremata nel rigido inverno bosniaco. Per strada
guardo le persone avanzare lentamente ripiegate dal vento gelido del monte
Igman. Hamo dice: -“Amavo la montagna prima della guerra, adesso odio tutto ciò
che è più alto di una collina. Dall’alto di quel monte veniva la morte. Spari
continui dei cecchini, le granate e le pallottole impazzite che rimbalzano”-.
Scorgo la fiamma della speranza tra le parole tristi.
Partecipiamo a seminari tenuti da responsabili del governo bosniaco e
dalle associazioni umanitarie. Incontriamo il Ministro della sanità, il
Ministro della ricostruzione, il responsabile dei media e il Presidente
dell’Associazione per la pace di Sarajevo. Il direttore
dell’ospedale cittadino racconta com’è stato possibile continuare a curare e
operare i feriti nonostante la mancanza di luce, d’acqua e gas.
Nell’ospedale non c’è più un vetro intatto. Sono sempre rossi i tramonti
attraverso la plastica. I carrozzieri della città costruiscono protesi nella
penombra.
Le parole di guerra si inseguono: Ex Jugoslavia, pulizia etnica,
ustascia, cetnici, pazj snajper, Dayton, Igman. Nella Sarajevo innevata la
frase ricorrente è “sretna nova godina”. Felice anno nuovo. Ed io spero con
loro. Tutti sono concordi nell’affermare che quest’anno vedrà la fine della
guerra. Nelle case non c’è acqua potabile, in compenso è arrivata l’energia
elettrica ed il gas una volta ogni due giorni. Le pensioni medie si aggirano
dai trenta ai cinquanta marchi al mese e sono integrate da aiuti umanitari. Il
coprifuoco e’ attivo dalle dieci di sera alle cinque del mattino ed in città è
stato tolto solo in occasione dell’ultimo giorno dell’anno.
I giornali riportano notizie contrastanti: dal tribunale dell’Aia nella
Commissione per i crimini di guerra, Chetif Bassiouni dice: Se le vittime non
vedranno la giustizia potranno mai vedere la pace? Sono ricercati per genocidio i serbo -
bosniaci: Karadzic e Mladic. Nello
stesso tempo il tribunale dell’Aia ha dichiarato criminali di guerra i croati
di Bosnia: Blaskic e Kordic, ma questi ultimi sono stati decorati da poco tempo
in Croazia al valore militare.
Deponiamo una corona alla tomba
del milite ignoto nel vecchio cimitero. Ombre – tombe - lapidi. I fiori
congelati sono privi di sfumature di colore e profumo. Mi domando se mai
ritornerà la primavera?
BUONA PASQUA
APPUNTI 2012
…e non mi resta altro da fare che
partire per Sarajevo: “La bella violentata”.
Mi assale il senso di non essere mai
stato in questo luogo; lentamente entro nei ricordi e si fa vivo il passato.
Le torri sono state restaurate e così
pure l’Holiday Inn è in piena forma, la casa distrutta dalle granate che
riportava posters di angeli alla facciata ora mostra al loro posto i condizionatori
d’aria.
Cippi commemorativi e lapidi e le cavità
delle granate sulle strade sono diventate “Le rose di Sarajevo”.
La città vecchia è tornata agli antici
ritmi dettati dal turismo; dall’alto minareto il muezzin declama, aiutato
dall’amplificatore, moniti vibranti.
La città è viva – pulsante e giovane.
Quindici anni fa l’ho lasciata vuota – fredda e triste.
Alla biblioteca continuano i lavori di
restauro e oltre il viale dei tram instancabile scorre la Miljacka.
In alto il quartiere popolare abbraccia
il cimitero di guerra e tra le lapidi un cane sonnecchia beandosi del caldo di
un timido sole che tramonta.
La
foschia lascia la città, sale a intenebrare il cielo bianco-azzurro malato, e
il velo ascensionale dona il flow ai minareti e campanili.
I
tram sono lampi coloratissimi…
Nonostante
il flusso costante di persone regna una sorta di silenzio quasi rispettoso del
passato recente.
Ilma
si alza dal sedile del tram e scende alla fermata della biblioteca, l’aria
fredda delle colline smuove la sua lunga camicia, azzurra come il suo velo,
allunga il passo sul ponte e quel ponte vibra di azzurro. Può camminare
tranquilla, nessun cecchino la tiene sotto tiro, soltanto io con il mio
obiettivo continuo a seguirla, e mentre le scatto una fotografia quasi mi trema
il dito. Ma è proprio questo scatto che la terrà viva per sempre, giovane
all’infinito… un’eterna sfumatura azzurra nel grigio sfondo di un palazzo in
restauro.
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