SBORNIE DI PRIMAVERA
Petali di seta
Coperti di brina
Aroma della primavera
In un gracile stelo
Congelato
Da poco tempo le primule – timide e delicate – annunciatrici dei tepori primaverili sbucano tra le erbe invernali – nel raggiunto scopo di annunciatrici della stagione che rigenera colori a pastello e ronzii d’insetti. I tempi nuovi stanno per arrivare – nonostante il continuo rimarcare di dolori indicibili che affliggono giornalmente l’essere e il non essere.
Torno a risalire la china dei desideri – mi inerpico scansando le dolenze del vivere in collettività – e ancora a tratti con quella voglia di provare quanto si possa esistere dimenticati. Tremulo – palpitante – nel tentativo di bruciare più ossigeno possibile – come la fiamma traballante di una capanna tibetana – che segue il ritmo della preghiera eppure pare desiderare di sfuggirle…
Percorro il vecchio pontile di legno che limita l’attracco delle piccole barche di legno - il mare frustato dalle luci dei cantieri navali sembra olio grigio increspato dalla corrente - lo massaggia dal basso ondeggiandolo lentamente – in un andirivieni di morbide onde lunghe.
Sono in ritardo eppure non riesco a staccare lo sguardo dai bagliori all’orizzonte - sono città in lontananza – luoghi remoti che affermano la loro presenza con una luminescenza rarefatta a causa della distanza e dell’imbrunire - era tanto tempo che non mi soffermavo in questo lungomare assediato dai palazzi signorili poco lontani. In un tempo diventato remoto spesso cercavo di ritagliarmi un paio d’ore per osservare luoghi differenti a seconda dello stato d’animo… a volte lunghi percorsi mi portavano per sentieri che percorrevo da giovane – quando – mi dicevo – “devo pensare !!!!” Pensare con calma è un ricordo – solo un ricordo – perché questo tempo non mi lascia spazio ad un vero ragionamento …
Salmodiare nel silenzio degli spazi più vicini al cielo – e non per ringraziare presunti creatori – ma dare un tono più delicato alle invettive rabbiose che avrei voglia di estrarre dal plesso solare – per trasformare un corpo solido in vento…
Eppure quanta energia nella mandria di gnu che attraversa il fiume africano alla ricerca di pascoli verdi – graminacee gustose come gelati al limone nel caldo di ferragosto – e barbe dell’aristida – i lampi rossi della striga parassitaria – e i rari morbidi gigli crinum – il tutto è immerso nella cappa di polvere bianca alzata da migliaia di zampe frenetiche di gnu – antilopi e gazzelle.
Discosto dalle furia terrena il cielo azzurro resta tranquillo a vincere la sfida lanciata dalla nube di polvere – e dopo il turbine - le nuvole di cotone sopra di me si potevano toccare da quanto apparivano vicine al suolo.
Le acacie a ombrello erano prodigi immobili nel giallo sporco della piana – come oggetti dimenticati…ramificazioni puramente casuali.
Rivivo perfettamente le sensazioni di quel momento: d’improvviso una tensione diventò palpabile nell’aria. Un animale scarta di lato per sfuggire alla leonessa apparsa all’improvviso da dietro un masso - le zampe accennano un tentativo di galoppo sgraziato e i muscoli della schiena sospingono verso il garrese la peluria rada raggrinzandosi ripetutamente nella ricerca di slancio. Le movenze sono di un semplice trotto affannato – un inutile tentativo di fuga vera e propria. Le zampe filiformi non possiedono il tono muscolare adatto al salto - e l’animale non tenta neppure di nascondersi alla furia felina - l’istinto detta solamente un semplice movimento privo di un chiaro indirizzo.
Preda per definizione – ed è evidente che ogni sforzo sarà inutile – l’animale sembra negare ogni desiderio di salvezza. La leonessa raggiunge l’animale al fianco - il balzo è lieve – preciso - il morso fulmineo proiettato dalla corsa travolge la preda con il peso del corpo – ed è impossibile sottrarsi alla sua furia…
Lo gnu cade nella polvere - rotola ferito a morte. Il branco ha un attimo d’incertezza. Alcuni animali si fermano ad osservare il pasto sanguinolento - immobili a poca distanza guardano il loro simile con il ventre squarciato e la vorace massa fulva nasconde la testa nelle costole bianche. Le interiora al suolo ancora palpitanti – il resto della mandria è come congelata in uno sguardo inebetito. L’istinto…il dubbio - l’odore del sangue – l’acido olezzo della paura - e di fronte la massa immobile osserva la mutazione genetica di artigli e peli che si mescola con qualche cosa di simile a loro. Alcuni timidamente ruminano distogliendo lo sguardo.
Gli animali più vecchi hanno lo sguardo fisso e sembrano cercare nella memoria rigida altre immagini simili - con difficoltà riesumano sensazioni passate.
E perché ora mi torna all’improvviso alla mente il pontile di Dragor - la calma del Mare del Nord e il piattume argentato occupato dalla baia. Ricordo i germani cromati che restavano placidi in un irreale ambiente dove anche il vento - nei giorni prima invasivo a tal punto da riuscire a confondere il nord con il sud - quel giorno taceva. Dalle case basse del paese non proveniva il minimo suono e l’unica osteria aperta era muta di cagnare alcoliche. Seduto sul pontile di legno osservavo i pali conficcati nel fondale e l’acqua limpida e immota permetteva di vedere le stratificazioni di alghe anch’esse ferme – gelatinose - immobilizzate in una sorta di indolenza collettiva. Indolenza che ora mi lascia sfinito.
...VORREI TANTO ESSERE LEGGERO COME FUMO...
Nessun commento:
Posta un commento