Nepal : sentiero per Lo Manthang la capitale del
Mustang.
Il monte alle spalle si copre di nuvole torve che non rassicurano per
niente e spinte dal vento disegnano sulla vallata un gregge di ombre
sempre in movimento. Il vento accelera le macchie grigie sulle pietre del
fiume in basso e pennella l’acqua di striature color piombo. Arriva la
pioggia a stravento. Io e Kumar cerchiamo un riparo sotto una cengia
vicina al sentiero d’alta quota. Mi rollo una sigaretta con un tabacco
sbricioloso che fatico a mantenere sulla cartina e ancor prima della tirata
assaporo il gusto di fumo dolciastro. Kumar si perde nei suoi pensieri io
nei miei. Osservo la vallata e la vena più chiara del sentiero percorso - un
serpente appena accennato tra massi erratici e pendii detritici dei monti.
Provo una pace intensa e la grande felicità di essere un minuscolo puntino
in una carta geografica enorme - sono come dire beato di poter godere
dell’immensità intorno. Il riparo di fortuna profuma di terra bagnata e un
aroma muschioso nel gioco delle memorie olfattive mi riporta a decenni
indietro – e cosi improvvisamente che non so dire se per chimica oppure
magia mi trovo in un tempo e luogo del passato.
Ogni nave ha il proprio odore e ricordo la Lord Kelvin e il particolare
odore di umida ruggine in un cantiere notturno - nella scenografia di in
bacino di carenaggio e luci nel buio cangianti dal giallo acceso all’arancio
marcio nel ventre di lamiere privo di interiora e cuore - in un golfo mistico
di suoni battilama - sfiati nervosi di acetilene - saldatori e trapani.
Intorno a me ombre d’uomini al lavoro - non sfruttati provenienti dal sud
del mondo all’epoca – ma bensì apuani dell’Antona e cavatori di Massa
Carrara divenuti operai - ex briganti del Passo del Giovo e figli dei
sopravvissuti di Vinca e anziani livornesi - non melopee di parole straniere
ma dialetti di sporco toscano - che a tratti potevano assomigliare a idiomi
di popolazioni scomparse da quanto mi erano incomprensibili.
Io ragazzo che lascio la scuola e mi destreggio alla meglio trascinandomi
dietro manichette di aria compressa a farmi compagnia nella pancia della
petroliera. Il mio collega anziano è un Long John Silver alla buona - con
una storia tristissima alle spalle - una moglie morta nel rogo della loro
casa mentre lui navigava nel sud est asiatico. Aveva nostalgia dei suoi
lunghi riccioli al vento umido e nei suoi racconti percepivo un intensa
melange di acqua di riso ed esalazioni di fumi mal combusti. Che genialità
la memoria e che dramma nello stesso tempo non poter tralasciare i
ricordi tristi a comando ma riassorbirli sempre e di nuovo non appena la
mente ritorna nello stagno delle sensazioni passate.
Ed ora dividevo con lui olezzi e profumi.
Kumar annuncia la fine della pioggia con il miele del suo inglese mi riporta
al momento reale ed io ritorno felice a farmi incorporare nel ruolo di
viandante e compagno di viaggio – scatta improvviso e allunga la mano
con quel bel gesto per aiutare a rimettersi in piedi - il palmo aperto e il
pollice alzato a stringere il mio pollice.
Lo zaino appare più leggero ed anche il mio corpo scomposto in mille
emozioni pesa di meno sulle gambe. Poco lontano uno stupa segna la
strada per il Mustang interno e mentre lo osservo rapito - una lama di
luce intensa penetra le nuvole - lo illumina quasi a dichiarare
l’inequivocabile percorso da imboccare.
In queste occasioni mi dico sempre che devo fortemente memorizzare il
momento per ripescarlo nel futuro - quando la pioggia non cesserà -
quando la strada sarà una mulattiera dolomitica e intorno a me non vedrò
simboli tibetani ma archeologia industriale di un occidente opulento e
distratto al via vai delle nuvole.
Ci aspettano ore ed ore di cammino – ancora molta strada prima del
prossimo villaggio.
https://diegod56.wordpress.com/2020/09/05/nepal-gli-spazi-del-ricordo-paolo-p/
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