mercoledì 2 settembre 2020

UN ALTRO TENTATIVO DI INIZIO DI UN LIBRO FANTASMA

Nepal : sentiero per Lo Manthang la capitale del Mustang.
Il monte alle spalle si copre di nuvole torve che non rassicurano per niente e spinte dal vento disegnano sulla vallata un gregge di ombre sempre in movimento. Il vento accelera le macchie grigie sulle pietre del fiume in basso e pennella l’acqua di striature color piombo. Arriva la pioggia a stravento. Io e Kumar cerchiamo un riparo sotto una cengia vicina al sentiero d’alta quota. Mi rollo una sigaretta con un tabacco sbricioloso che fatico a mantenere sulla cartina e ancor prima della tirata assaporo il gusto di fumo dolciastro. Kumar si perde nei suoi pensieri io nei miei. Osservo la vallata e la vena più chiara del sentiero percorso - un serpente appena accennato tra massi erratici e pendii detritici dei monti. Provo una pace intensa e la grande felicità di essere un minuscolo puntino in una carta geografica enorme - sono come dire beato di poter godere dell’immensità intorno. Il riparo di fortuna profuma di terra bagnata e un aroma muschioso nel gioco delle memorie olfattive mi riporta a decenni indietro – e cosi improvvisamente che non so dire se per chimica oppure magia mi trovo in un tempo e luogo del passato.
Ogni nave ha il proprio odore e ricordo la Lord Kelvin e il particolare odore di umida ruggine in un cantiere notturno - nella scenografia di in bacino di carenaggio e luci nel buio cangianti dal giallo acceso all’arancio marcio nel ventre di lamiere privo di interiora e cuore - in un golfo mistico di suoni battilama - sfiati nervosi di acetilene - saldatori e trapani. Intorno a me ombre d’uomini al lavoro - non sfruttati provenienti dal sud del mondo all’epoca – ma bensì apuani dell’Antona e cavatori di Massa Carrara divenuti operai - ex briganti del Passo del Giovo e figli dei sopravvissuti di Vinca e anziani livornesi - non melopee di parole straniere ma dialetti di sporco toscano - che a tratti potevano assomigliare a idiomi di popolazioni scomparse da quanto mi erano incomprensibili. Io ragazzo che lascio la scuola e mi destreggio alla meglio trascinandomi dietro manichette di aria compressa a farmi compagnia nella pancia della petroliera. Il mio collega anziano è un Long John Silver alla buona - con una storia tristissima alle spalle - una moglie morta nel rogo della loro casa mentre lui navigava nel sud est asiatico. Aveva nostalgia dei suoi lunghi riccioli al vento umido e nei suoi racconti percepivo un intensa melange di acqua di riso ed esalazioni di fumi mal combusti. Che genialità la memoria e che dramma nello stesso tempo non poter tralasciare i ricordi tristi a comando ma riassorbirli sempre e di nuovo non appena la mente ritorna nello stagno delle sensazioni passate. Ed ora dividevo con lui olezzi e profumi.
Kumar annuncia la fine della pioggia con il miele del suo inglese mi riporta al momento reale ed io ritorno felice a farmi incorporare nel ruolo di viandante e compagno di viaggio – scatta improvviso e allunga la mano con quel bel gesto per aiutare a rimettersi in piedi - il palmo aperto e il pollice alzato a stringere il mio pollice. Lo zaino appare più leggero ed anche il mio corpo scomposto in mille emozioni pesa di meno sulle gambe. Poco lontano uno stupa segna la strada per il Mustang interno e mentre lo osservo rapito - una lama di luce intensa penetra le nuvole - lo illumina quasi a dichiarare l’inequivocabile percorso da imboccare. In queste occasioni mi dico sempre che devo fortemente memorizzare il momento per ripescarlo nel futuro - quando la pioggia non cesserà - quando la strada sarà una mulattiera dolomitica e intorno a me non vedrò simboli tibetani ma archeologia industriale di un occidente opulento e distratto al via vai delle nuvole.
Ci aspettano ore ed ore di cammino – ancora molta strada prima del prossimo villaggio.

1 commento:

  1. https://diegod56.wordpress.com/2020/09/05/nepal-gli-spazi-del-ricordo-paolo-p/

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