giovedì 18 novembre 2021

LUCCA

Il treno si allontana dal mare e penetra terre toscane che ancora non riescono a riposare nel dolce panorama delle colline tondeggianti. Il territorio è preda di fiumi torrentizi e vallate a precipizio, interrotte dai massi erratici e ravaneti alpini. Il vapore si solleva dall’acqua lattiginosa che dopo due giorni di pioggia ribolle senza interruzione, liberando a valle la neve disciolta e le foglie dei faggi. Biancore di acque nervose imbrigliate nei mulinelli, cascate silenziate dalla distanza e fluire di marmetola strappata alla barriera apuana. I boschi scuri contrastano con le pareti verticali dei monti imbiancati e sorvegliano i paesi grigi abbandonati d’inverno. Oltre gli orti congelati, gialli e striati di brina, le vette si stagliano imbiancate dalla neve fresca caduta nella notte. Il treno ha solo due piccole carrozze e procede a singulti spingendosi sempre di più nel sacco senza uscita di vento e pioggia. Il maltempo ha edificato un muro apparentemente invalicabile. Le piccole stazioni si materializzano timidamente risvegliate dal treno in frenata, e l’apparizione sferragliante mostra un muso da gatto che annusa l’aria per trovare la giusta direzione nel fortunale buio e inquietante. Le mura di Lucca si materializzano grigie d’umido e luminescenti di chiazze ghiacciate. L’aria della festa è sospesa tra le palle di Natale e le pubblicità dei cenoni di fine anno. I ragazzi senegalesi vendono ombrelli giganti agli angoli delle strade medievali, sotto gli archi e le torri campanarie. L’anziano cingalese muove impercettibilmente le labbra in una sorta di preghiera e osserva i cornicioni invitando la pioggia a cessare. Una ragazza rom chiede la carità con un sottovaso di plastica in mano; attende, fuori dalla pasticceria alla moda dai vetri appannati, l’uscita dei compratori mattutini. La chiesa di San Luca è fredda e umida, solo la Madonna di De la Robbia sopporta tranquillamente il gelo penetrante, protetta dal vetro spesso, e un calore immaginario è irradiato dalla raggiera di finti raggi di sole in legno dorato al di sopra della testa. I pochi avventori spirituali, imbacuccati e stramazzati sulle panche con le spalle strette, pregano sottovoce. Le cripte nel pavimento sono lastre di marmo consumato dai passi, e in una di queste lo scheletro protettore è così levigato che assomiglia alla lisca di un pesce. Improvvisamente le campane rintronano nei vicoli stretti smorzando il chiacchiericcio dei progetti di fine anno.

martedì 21 settembre 2021

FILM CON ARIA SETTEMBRINA

KAIROS

Per molti passanti siamo solo ombre di sbieco di Via Carpenino - un esperimento di resistenza umana agli effluvi della bassa marea – una sorta di macchia di colore indistinta di corpi ravvicinati mentre teorizzano oppure confessano debolezze umane tra una bevuta ed un altra. In realtà quell’adunanza racchiude decine di singole personalità. Doppiogiochisti della sintassi - allergici alle doppie che sognano ancora perfetti comunismi. Giornalisti in pensione acerrimi nemici del barzinismo e disincantati di fronte ai loro eredi della carta stampata balbettanti nelle cronache cittadine. Numerologi e mappatori della spezzinità che snocciolano nomi e date con la precisione di un IBM aggiornatissimo. Filosofi chitarristi che normalmente vestono Marzotto e si gettano in improbabili svisate jazz con il partner di turno. Ex tassisti romani sempre pronti a interpretare Proietti con la giusta cadenza e ululare allo stuolo di canidi al guinzaglio. Postini filosofi pure loro che non disdegnano bellezze geriatriche. Antirazzisti da sempre amanti dei negroni . Finti poeti operai e fotografi loro malgrado. Osannatori della Nouvelle Vague sempre pronti ad interrogare gli astanti con domande degne di Lascia o Raddoppia. Ex pugili che borbottano invettive contro cambi di leadership. Un adunanza squisitamente critica nei riguardi del popolo e della massa senza per questo amare l’aristocrazia. Alcuni tirchi per non disattendere le aspettative del gruppo. Altri amanti della parola - di spiritosaggini ripetute all’infinito sino ad esaurirne tempi verbali e coniugazioni. Ragionamenti storici e sociali degni d’atenei e semplici chiacchiere da bar… direbbe qualcuno. Troviamo arguti folletti di periferia che amano ravioli caserecci e gingilli da adorare. I tavoli dell’adunata – prossimi ad una mostra di Murano da quanto affollati di bicchieri vuoti – a volte diventano confessionali odoranti santità ai quali si affollano politici trombati ed ex sindaci. Non mancano artisti di passaggio che amano essere ricordati - in caso contrario ripetono ancora aneddoti prebellici – altri personaggi in transito azzardano di fermare il tempo con fotografie sfuocate loro malgrado. Certamente non è un posto di blocco – nonostante l’ubicazione strategica che potrebbe confondere i pedoni e umiliarli con la richiesta di un fiorino – assomiglia molto ad una locanda di posta nel lungo percorso che un viandante percorre per raggiungere conventi lontani – a volte il camminatore stanco si ferma e consolato dalle risate dimentica la meta. Famiglia è una parola grossa e forse nessuno desidera che lo sia - nella paura di ripetere schemi noti – piuttosto un equipaggio di una nave pirata che vaga su di una rotta ignota e ogni tanto riposa sulla tolda guardando isole che sfilano a tribordo e la costa che si allontana.